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Il modo in cui vediamo noi stessi plasma profondamente la nostra esperienza di vita. La nostra immagine di noi stessi, ovvero la rappresentazione mentale che abbiamo del nostro aspetto, delle nostre capacità e del nostro valore, influenza tutto, dalle nostre interazioni sociali alle nostre decisioni più intime. Per molti di noi, questa immagine interiore si è distorta nel corso degli anni, coperta da strati di critiche assorbite, confronti ingiusti e standard irrealistici. Lo specchio, che dovrebbe essere solo uno strumento riflettente, spesso diventa un giudice spietato, evidenziando le imperfezioni e minimizzando i pregi.
L’immagine negativa di sé raramente nasce isolatamente. Si sviluppa gradualmente, alimentato da messaggi culturali restrittivi, esperienze di rifiuto, commenti superficiali da parte di persone importanti e dalla costante esposizione a immagini modificate che presentano versioni irraggiungibili di perfezione corporea. Con il tempo, interiorizziamo queste influenze esterne così profondamente che sembrano provenire da dentro di noi: quella voce critica nello specchio sembra la nostra, anche se spesso è un’eco delle voci degli altri.
Ricostruire un’immagine sana di sé non significa raggiungere uno specifico ideale estetico, ma trasformare radicalmente il rapporto che abbiamo con il nostro corpo: da conflittuale a collaborativo, da giudicante a compassionevole. Questo processo implica più che affermazioni positive o esercizi meccanici; richiede una profonda riorganizzazione dei modelli neurologici, emotivi e comportamentali consolidati. In questo articolo esploreremo strategie basate su prove concrete per iniziare questo percorso trasformativo, che ti consentirà di guardarti allo specchio e vedere non solo il tuo aspetto, ma anche il tuo valore intrinseco e la tua bellezza autentica.
Le basi psicologiche dell’immagine di sé
Per trasformare efficacemente la nostra immagine di noi stessi, dobbiamo prima capire come si forma e si mantiene. A differenza di un semplice insieme di opinioni consapevoli sul nostro aspetto, l’immagine di sé costituisce una struttura psicologica complessa con componenti cognitive, emotive e neurobiologiche profondamente interconnesse. Questa comprensione multidimensionale offre spunti di intervento più efficaci rispetto agli approcci superficiali incentrati solo su pensieri positivi.
Da un punto di vista neuroscientifico, l’immagine che abbiamo del nostro corpo viene elaborata in diverse regioni del cervello, tra cui la corteccia parietale (responsabile del senso della propriocezione, ovvero la consapevolezza della posizione e del movimento del corpo) e l’insula (relativa alle sensazioni interocettive, ovvero la percezione dei segnali corporei interni). Studi di neuroimaging dimostrano che le persone con disturbi dell’immagine corporea presentano spesso un’attivazione alterata in queste aree, il che suggerisce che un’immagine negativa di sé non è semplicemente una distorsione cognitiva, ma anche una differenza nell’elaborazione sensoriale e nell’interpretazione delle informazioni corporee.
La psicologia dello sviluppo rivela che l’immagine di sé inizia a formarsi sorprendentemente presto: i bambini di 3-4 anni dimostrano già di essere consapevoli delle norme culturali riguardanti l’aspetto e le dimensioni del corpo. Questo processo di formazione è fondamentalmente relazionale: assorbiamo messaggi sul valore del nostro corpo attraverso le reazioni di chi si prende cura di noi, i commenti dei coetanei e, in seguito, l’esposizione ai media. Le esperienze negative durante i periodi delicati dello sviluppo, come ad esempio il bullismo legato all’aspetto fisico durante la pubertà, possono avere un impatto sproporzionato sull’immagine di sé in età adulta.
La psicologia cognitiva individua diversi processi che mantengono un’immagine di sé negativa anche di fronte a prove contraddittorie. “L’attenzione selettiva” ci porta a notare prevalentemente le caratteristiche corporee che confermano la nostra visione negativa, ignorando le prove positive. Il “pensiero dicotomico” ci porta a valutare il nostro corpo in termini assolutistici – completamente accettabile o completamente inaccettabile – senza spazio per le sfumature. La “personalizzazione” ci porta a interpretare le reazioni degli altri come legate al nostro aspetto, quando potrebbero avere innumerevoli altre cause.
Il viaggio della ricostruzione dell’immagine di sé
Per trasformare un’immagine negativa di sé consolidata è necessario un approccio progressivo e multiforme, riconoscendo che i modelli profondamente radicati non cambiano all’istante. Questo percorso non è lineare: aspettatevi momenti di progressi significativi intervallati da periodi di apparente regressione. La neuroplasticità cerebrale, ovvero la capacità del cervello di riorganizzare le connessioni neurali, rende possibile questa trasformazione, ma avviene gradualmente, rafforzando nuovi modelli di pensiero e percezione attraverso una pratica costante.
La prima fase di questo percorso prevede lo sviluppo della consapevolezza metacognitiva, ovvero la capacità di osservare i propri pensieri sul proprio corpo senza identificarsi immediatamente con essi. Questa pratica fondamentale crea lo “spazio psicologico” necessario per interrompere le risposte automatiche ai pensieri negativi sull’immagine di sé. Invece di cercare immediatamente di sostituire i pensieri negativi (che spesso intensificano la resistenza interna), inizia semplicemente notando: “Sto avendo un pensiero critico sul mio corpo”, senza giudicare il pensiero in sé.
Man mano che si sviluppa questa capacità di auto-osservazione, la fase successiva consiste nell’identificare e mettere in discussione le convinzioni fondamentali che sostengono l’immagine negativa di sé. Spesso includono presupposti raramente esaminati, come “Il mio valore dipende dal mio aspetto” o “Devo conformarmi a un certo ideale estetico per essere amato”. La terapista cognitiva Judith Beck raccomanda di trattare queste convinzioni come ipotesi da verificare, non come verità assolute, raccogliendo attivamente le prove che le contraddicono.
Strumenti pratici per iniziare
- Diario delle sfide del pensiero: tieni traccia dei pensieri automatici negativi sul tuo corpo, identificando specifiche distorsioni cognitive in ciascuno di essi (eccessiva generalizzazione, filtro mentale negativo, ecc.) e formulando risposte più equilibrate.
- Esercizio di reset dello specchio: invece di giudicare il tuo aspetto quando ti guardi allo specchio, esercitati a concentrarti sulle funzioni e sulle capacità delle diverse parti del corpo: “Queste gambe mi permettono di camminare e ballare” invece di giudicarne la forma.
- Inventario delle qualità non fisiche: sviluppa consapevolmente la pratica di riconoscere e valorizzare aspetti non correlati all’aspetto fisico (intelligenza, compassione, creatività) per ampliare le basi dell’autostima oltre l’immagine corporea.
- Pratica della gratitudine corporea: riconosci e ringrazia regolarmente il tuo corpo per la sua capacità di provare piacere sensoriale, respirare automaticamente, guarire le ferite e altre funzioni spesso trascurate.
- Verifica dei social media: esamina criticamente gli account che segui sulle piattaforme social: promuovono un’autentica diversità corporea o rafforzano ideali irrealistici? Non esitare a smettere di seguire contenuti che danneggiano sistematicamente la tua immagine.
Gli psicologi specializzati nell’immagine corporea sottolineano che ricostruire la propria immagine di sé non significa solo modificare i propri pensieri, ma anche riconnettersi con il proprio corpo, considerandolo un prezioso alleato e non un oggetto da valutare e perfezionare costantemente. Questa riconnessione spesso richiede un’esposizione graduale a situazioni precedentemente evitate a causa dell’ansia per l’immagine corporea, come indossare abiti più succinti o partecipare ad attività fisiche in pubblico, con un supporto adeguato per elaborare le emozioni che emergono.
Il linguaggio interno e il suo impatto sull’immagine di sé
Il nostro dialogo interiore, quella conversazione silenziosa che abbiamo con noi stessi, esercita una straordinaria influenza sulla nostra immagine di noi stessi e sul rapporto con il nostro corpo. Le parole specifiche che utilizziamo per descrivere noi stessi non solo riflettono le percezioni esistenti, ma plasmano attivamente il modo in cui sperimentiamo la nostra realtà corporea. La neurolinguistica dimostra che la ripetizione del linguaggio crea schemi neurali preferiti, modellando letteralmente i circuiti cerebrali che facilitano determinati tipi di pensieri e percezioni.
Una caratteristica notevole del dialogo interiore negativo è il suo carattere assolutista: tendiamo a usare un linguaggio che generalizza i difetti percepiti (“Ho sempre un aspetto orribile”), personifica parti del corpo come avversarie (“la mia pancia mi ha tradito oggi”) o impiega metafore degradanti (“Mi sento come un palloncino troppo gonfio”). Questo schema linguistico attiva risposte neurologiche di minaccia, creando stati emotivi difensivi che perpetuano cicli di autocritica e, paradossalmente, comportamenti dannosi per la salute fisica.
Per trasformare questo dialogo interiore non basta semplicemente sostituire superficialmente le parole negative con quelle positive. La ricercatrice Kristin Neff, pioniera negli studi sull’autocompassione, consiglia di coltivare consapevolmente una “voce interiore compassionevole”, ovvero di parlare a se stessi come si farebbe con un caro amico che lotta con insicurezze simili alle proprie. Questo approccio riconosce le imperfezioni senza condannarle e mantiene una prospettiva equilibrata che integra le sfide fisiche con un apprezzamento genuino delle qualità esistenti.
Pratiche per trasformare il tuo linguaggio interiore
- Riconoscimento degli stimoli linguistici: identifica parole o frasi specifiche sul tuo corpo che innescano costantemente spirali di pensieri negativi. Sostituisci i termini carichi di significato (“grasso”, “flaccido”) con descrizioni neutre che si concentrano sulla sensazione o sulla funzionalità.
- Esercizio di scrittura in terza persona: prova a scrivere sui problemi legati all’immagine di te stesso usando il tuo nome in terza persona invece di “io”. Questa tecnica, supportata dalla ricerca psicologica, crea un’utile distanza psicologica dai pensieri autocritici.
- Sviluppo del mantra personale: crea frasi brevi, significative e realistiche che contrastino le convinzioni limitanti sulla tua immagine di te stesso. Per ottenere la massima efficacia, formulale al presente e concentrati su affermazioni verificabili: “Sto imparando ad apprezzare la forza e la funzionalità del mio corpo” piuttosto che su affermazioni che contraddicono completamente le tue convinzioni attuali.
- Tecnica di interrogazione socratica: quando sorge un pensiero autocritico sull’aspetto fisico, esercitatevi a interrogarlo sistematicamente: “Quali prove ho a sostegno di questo pensiero? Come mi sentirei se un amico si descrivesse in questo modo? Esiste una prospettiva più equilibrata?”
- Monitoraggio della metacomunicazione: nota non solo il contenuto dei pensieri sul tuo corpo, ma anche il “tono” di quei pensieri: condiscendente, punitivo, sprezzante? Questo riconoscimento ti consente di adattare non solo ciò che dici interiormente, ma anche il modo in cui lo dici.
La neurologa e ricercatrice Lisa Feldman Barrett dimostra nel suo lavoro che le emozioni sono in parte costruite attraverso concetti linguistici disponibili: più ricco e sfumato è il nostro vocabolario di esperienze corporee, più sofisticata diventa la nostra immagine di noi stessi. Ampliare consapevolmente il proprio lessico corporeo includendo termini che vanno oltre le valutazioni estetiche (descrivendo sensazioni, capacità, resilienza, espressività) consente di sperimentare il proprio corpo in modi più diversificati e potenzialmente gratificanti.
Riconciliarsi con lo specchio: approcci pratici
Lo specchio rappresenta un punto focale nell’esperienza dell’immagine di sé problematica. Per molti, il rituale di guardarsi allo specchio diventa un momento di esame implacabile, in cui l’attenzione si concentra automaticamente su caratteristiche percepite come difettose. Questo modello attentivo, codificato neuralmente attraverso la ripetizione, perpetua cicli di insoddisfazione corporea. Cambiare consapevolmente il modo in cui interagiamo con i riflessi offre una potente opportunità per interrompere questi cicli e stabilire un nuovo rapporto con la nostra immagine visiva di noi stessi.
La terapia cognitivo-comportamentale per l’immagine corporea spesso prevede l'”esposizione graduale allo specchio” come intervento fondamentale. Questa pratica strutturata inizia con brevi periodi di autocontemplazione concentrata in condizioni controllate (illuminazione adeguata, abbigliamento comodo) e si estende progressivamente a situazioni più impegnative. L’obiettivo non è eliminare completamente il disagio, ma sviluppare una maggiore tolleranza alle sensazioni che emergono durante l’autoesame, riducendo la tendenza all’evitamento che paradossalmente intensifica la fissazione negativa.
La tecnica della “scansione corporea neutra” offre una struttura specifica per questi incontri con lo specchio. Invece del solito schema di iperfocalizzazione sulle aree problematiche, questa pratica prevede l’osservazione sistematica di ogni parte del corpo con una prospettiva descrittiva e funzionale, non valutativa. Con una pratica costante, questo approccio ricalibra i circuiti neurali dell’attenzione, creando modelli di auto-osservazione più equilibrati che includono aspetti precedentemente ignorati a causa del filtro negativo prevalente.
Rituali per riconnettersi con lo specchio
- Esercizio di sguardo compassionevole: prima di esaminare il tuo riflesso, evoca consapevolmente il ricordo di qualcuno che ami incondizionatamente. Nota come il tuo sguardo si ammorbidisce naturalmente. Mantieni questa qualità dell’attenzione mentre sposti lo sguardo su te stesso, notando sottili differenze nell’espressione facciale e nella tensione del corpo.
- Esercizio di apprezzamento progressivo: inizia identificando una singola caratteristica che puoi accettare (non necessariamente amare). Nei giorni successivi, aggiungi gradualmente una nuova caratteristica all’elenco. Questa pratica espande sistematicamente le “zone neutre” nella tua immagine di te stesso.
- Sfida di affermazioni specifiche: invece di affermazioni positive generiche, individua ogni giorno una qualità specifica e verificabile nel tuo aspetto: “Apprezzo il modo in cui i miei occhi esprimono le emozioni” oppure “Riconosco la funzionalità delle mie mani che mi consentono di creare”.
- Rituale di gratitudine sensoriale: dopo il bagno o mentre applichi la crema idratante, concentrati deliberatamente sulle sensazioni fisiche mentre tocchi diverse parti del tuo corpo (temperatura, consistenza, sensibilità), spostando l’attenzione dalla valutazione visiva all’esperienza sensoriale diretta.
- Pratica di cura di sé di persona: trasformare le attività di cura di sé svolte davanti allo specchio (lavarsi i denti, pettinarsi) in opportunità per praticare una presenza non giudicante, portando piena consapevolezza ai movimenti e alle sensazioni anziché alla valutazione estetica.
Il ricercatore Thomas Cash, esperto di immagine corporea, sottolinea che migliorare il rapporto con lo specchio non significa eliminare completamente i giudizi negativi, ma sviluppare una risposta più equilibrata e una genuina compassione nei loro confronti. Questo graduale processo di “desensibilizzazione” riduce la carica emotiva associata all’immagine riflessa di sé, consentendo allo specchio di tornare al suo scopo originale: quello di semplice strumento riflettente e non di tribunale estetico.
Influenze socioculturali e protezione dell’immagine di sé
La nostra immagine di noi stessi non si sviluppa in un vuoto psicologico, ma è continuamente plasmata da potenti forze socioculturali che stabiliscono standard espliciti e impliciti sull’aspetto “ideale”. L’esposizione continua a immagini altamente modificate, a narrazioni che associano la magrezza o i muscoli definiti al successo e al valore personale, e la sistematica monetizzazione delle insicurezze corporee da parte dell’industria della bellezza, creano un ambiente ostile allo sviluppo di un rapporto sano con il corpo.
La psicologa sociale Renee Engeln usa il termine “cognitivamente dirompente” per descrivere il modo in cui l’oggettivazione del corpo compromette le risorse mentali. La loro ricerca dimostra che dopo l’esposizione a immagini idealizzate, le donne sperimentano riduzioni misurabili nella loro capacità di concentrazione e nelle prestazioni cognitive, poiché le risorse mentali vengono involontariamente reindirizzate verso un’autovalutazione comparativa. Questo fenomeno dimostra come le influenze esterne sull’immagine di sé non rappresentino solo un disagio estetico, ma un tangibile deterioramento funzionale.
Sviluppare un’alfabetizzazione mediatica critica è una strategia essenziale per proteggere l’immagine di sé in questo contesto. Questa capacità implica la decostruzione consapevole dei messaggi mediatici, riconoscendo le tecniche specifiche utilizzate per manipolare le immagini e le narrazioni sui corpi. Gli studi dimostrano che anche brevi interventi educativi sull’editing digitale e sulle pratiche del settore della moda possono ridurre significativamente l’impatto negativo delle immagini idealizzate sull’immagine di sé di adolescenti e adulti..
Strategie di protezione socioculturale
- Selezione consapevole dei contenuti: valuta regolarmente l’impatto delle diverse fonti multimediali sulla tua immagine. Diversifica intenzionalmente il tuo consumo visivo per includere corpi di diverse dimensioni, età, etnie e abilità, creando una nuova “normalità” visiva che controbilanci le rappresentazioni omogenee prevalenti.
- Pratica di decostruzione pubblicitaria: sviluppare l’abitudine di analizzare criticamente i messaggi pubblicitari sul corpo, identificando tecniche persuasive specifiche e presupposti impliciti. Domanda essenziale: “Quale problema sta cercando di convincermi questo messaggio di avere, per poi vendermi la soluzione?”
- Creare una comunità positiva: coltivare attivamente relazioni che diano valore alle qualità oltre l’apparenza. Nei contesti sociali in cui i commenti sul corpo sono frequenti, prova a reindirizzare le conversazioni su argomenti non correlati all’aspetto fisico.
- Attivismo per l’immagine corporea: valutare la possibilità di trasformare la frustrazione dovuta alle pressioni culturali in azioni costruttive, sostenendo i marchi che rappresentano un corpo diversificato, contestando con rispetto i messaggi problematici negli spazi pubblici e condividendo risorse educative sull’accettazione del corpo.
- Sviluppo dell’identità multidimensionale: investire consapevolmente nello sviluppo di aspetti dell’identità non correlati all’aspetto (abilità, relazioni, valori, contributi), creando un senso di valore personale che trascende le fluttuazioni dell’immagine corporea.
La ricercatrice Niva Piran, pioniera nel campo dell’immagine corporea, propone il concetto di “incarnazione positiva” per descrivere un rapporto con il corpo caratterizzato da connessione, capacità di agire e resistenza all’oggettivazione esterna. Questa prospettiva riconosce la dimensione sociopolitica dell’immagine di sé: le nostre lotte individuali riflettono tensioni sociali più ampie sul controllo e la valorizzazione dei corpi. Affrontare queste influenze esterne diventa quindi una componente essenziale di qualsiasi strategia globale volta a ricostruire un’immagine positiva di sé.
Conciliare salute e accettazione nel percorso dell’immagine di sé
Un ostacolo comune alla ricostruzione di un’immagine positiva di sé è la percezione errata che accettare il proprio corpo attuale significhi abbandonare le legittime aspirazioni di salute, vitalità e benessere fisico. Questa falsa dicotomia – “accetta il tuo corpo così com’è o impegnati a cambiarlo” – crea una tensione inutile che compromette sia la vera accettazione sia comportamenti salutari sostenibili. Un approccio integrato riconosce che una vera trasformazione dell’immagine di sé implica simultaneamente il rispetto del proprio corpo attuale e il sostegno della propria salute futura.
Il paradigma “Salute a ogni dimensione” offre un quadro utile per conciliare questi obiettivi apparentemente contraddittori. Questo modello, supportato da un crescente numero di ricerche, ipotizza che i comportamenti che promuovono la salute, come un’alimentazione consapevole, il movimento piacevole e l’autocompassione, favoriscano il benessere indipendentemente da specifici cambiamenti di peso o di aspetto. Studi longitudinali dimostrano che gli interventi basati su questi principi migliorano significativamente i marcatori biologici della salute, promuovendo al contempo miglioramenti nell’immagine di sé e una riduzione dei comportamenti alimentari disordinati.
Sviluppare un rapporto con il movimento fisico basato sul piacere e sulla funzionalità, non sulla compensazione o sulla trasformazione estetica, rappresenta una componente essenziale di questo approccio integrato. La psicologa Kelly McGonigal dimostra nella sua ricerca che riorientare le motivazioni all’esercizio fisico, da “correggere i difetti” a “celebrare le capacità”, non solo migliora l’immagine di sé, ma aumenta anche la coerenza e la sostenibilità dei comportamenti attivi nel tempo, creando un circolo virtuoso di benessere fisico e psicologico.
Pratiche per integrare accettazione e salute
- Nutrizione consapevole e senza giudizi: sviluppare un rapporto con il cibo basato sulla consapevolezza delle sensazioni corporee (fame, sazietà, energia, piacere) piuttosto che su rigide regole esterne. Questo approccio rispetta i segnali interni, indirizzando gradualmente le scelte alimentari che promuovono la vitalità.
- Esplorazione del movimento per il piacere: sperimentare diverse forme di attività fisica, concentrandosi in particolare sull’identificazione di quelle che generano sensazioni piacevoli, connessioni sociali positive o un senso di competenza. Tiene un diario dei “momenti di gioia nel movimento” per riorientare le associazioni mentali.
- Persegui obiettivi non estetici: stabilisci obiettivi legati alla funzionalità del corpo (flessibilità, resistenza, coordinazione) o alle sensazioni interne (energia, umore, qualità del sonno) piuttosto che a misure estetiche come il peso o un aspetto specifico.
- Cura di sé preventiva e compassionevole: inquadra i comportamenti sanitari preventivi (controlli medici, protezione solare, idratazione adeguata) come espressioni di rispetto e cura per il tuo corpo attuale, non come strumenti per “risolvere i problemi”.
- Sviluppare la resilienza dell’immagine di sé: imparare ad anticipare e ad affrontare con compassione le fluttuazioni naturali delle sensazioni e dell’aspetto corporeo (gonfiore temporaneo, fluttuazioni ormonali, cambiamenti stagionali) senza interpretarle come crisi dell’immagine di sé.
L’integrazione riuscita di accettazione e promozione della salute si manifesta come uno stato di “pace corporea” descritto dalla ricercatrice Evelyn Tribole: la capacità di abitare il proprio corpo con presenza consapevole e reattività compassionevole, liberi sia dall’ostilità autocritica che dalla negligenza mascherata da accettazione. Questo orientamento equilibrato ti consente di coltivare un’immagine positiva di te stesso, non come una destinazione statica, ma come un processo dinamico di relazione rispettosa e collaborativa con il tuo corpo attraverso inevitabili cambiamenti nel corso della vita.
Domande frequenti sulla ricostruzione dell’immagine di sé
È possibile sviluppare un’immagine positiva di sé in una cultura che promuove costantemente ideali fisici irrealistici?
Assolutamente. Sebbene le influenze culturali rappresentino una sfida significativa, la ricerca psicologica dimostra che sviluppare una consapevolezza critica di questi messaggi e coltivare attivamente fonti alternative di convalida crea un “sistema immunitario psicologico” che ne riduce significativamente l’influenza. Gli individui con un forte senso dello scopo che va oltre l’aspetto fisico dimostrano una particolare resilienza alle pressioni culturali sull’immagine di sé.
Quanto tempo ci vuole per trasformare davvero un’immagine negativa di sé radicata?
La neuroplasticità cerebrale rende possibile il cambiamento a qualsiasi età, ma il processo è raramente lineare. Le ricerche indicano che i primi cambiamenti nei comportamenti e nei pensieri possono verificarsi nel giro di poche settimane, mentre trasformazioni più profonde nei sentimenti e nell’identificazione del corpo richiedono spesso mesi o anni di pratica costante. Tuttavia, i benefici incrementali si riscontrano lungo il percorso, non solo nella “destinazione finale”.
Come affrontare gli ostacoli nel percorso per migliorare l’immagine di sé?
Le fluttuazioni sono una parte normale del processo di cambiamento neurologico e psicologico. La ricercatrice Kristin Neff consiglia di affrontare le ricadute con “forte autocompassione”, ovvero una combinazione di gentilezza verso se stessi e di un fermo impegno per il proprio benessere. Considerare gli insuccessi come opportunità di apprendimento (“Cosa ha scatenato questo episodio? Di quale ulteriore supporto ho bisogno?”) li trasforma da ostacoli a catalizzatori per lo sviluppo di un’immagine di sé più resiliente.
Come possiamo aiutare i bambini e gli adolescenti a sviluppare un’immagine sana di sé fin da piccoli?
Adottare un modello di rapporto non ossessivo con il proprio corpo ha una forte influenza sui bambini. Inoltre, la ricerca indica notevoli benefici nel: dare risalto alla funzionalità del corpo rispetto all’aspetto nelle conversazioni familiari; promuovere l’alfabetizzazione mediatica critica; evitare diete restrittive o commenti sul peso (il proprio o quello degli altri); e creare un ambiente che valorizzi diverse forme di abilità ed espressione fisica, non solo quelle in linea con gli ideali estetici dominanti.
È necessaria una terapia professionale per trasformare l’immagine problematica di sé?
Sebbene molte persone facciano notevoli progressi grazie alle risorse di auto-aiuto e al sostegno della comunità, la terapia specializzata offre notevoli benefici nei casi di notevole disagio correlato all’immagine di sé o quando sono presenti comportamenti compensatori (come severe restrizioni dietetiche). Approcci come la terapia cognitivo-comportamentale focalizzata sull’immagine corporea e la terapia di accettazione e impegno dimostrano un’efficacia particolarmente solida nella ricerca clinica.
E tu, lettore? Quale aspetto della tua immagine di te stesso è stato più difficile da conciliare? Quale strategia di questo articolo ti sembra più fattibile da implementare nella tua vita attuale? Condividete i vostri pensieri nei commenti: le vostre esperienze potrebbero offrire spunti preziosi ad altri lettori che stanno affrontando percorsi simili per ricostruire il rapporto con il proprio corpo e con l’immagine di sé.